L'acqua medica
Aquae Neapolitanae
Uscendo dalla periferia nord-occidentale di Sardara e passando attraverso la SS 131, una strada porta in località Santa Maria de is Acquas, presso il santuario omonimo. In questa piccola vallata circondata da nuraghi e attraversata dal Rio Sacer, sgorgano cinque sorgenti termominerarie, che la resero luogo sacro per le qualità taumaturgiche delle acque. È l’area delle antiche Aquae Neapolitanae, (II-I sec, a.C) tappa della via Òthoca-Kàralis, ricordata da Tolomeo e nell'Itinerarium Antoninii.
La zona fu interessata dall’insediamento umano nell’eneolitico (ceramiche di cultura Monte Claro dal nuraghe Arigau) e nel periodo nuragico. In età romana le acque termali vennero utilizzate a scopo terapeutico con l’edificazione di un grande complesso che costituiva il fulcro delle Aquae Neapolitanae. Accanto alle Thermae i Romani edificarono un tempio nel quale veneravano le loro divinità (più in là con la diffusione del cristianesimo gli antichi culti pagani furono sostituiti dalla venerazione della Vergine delle Acque).
I materiali di scavo, rinvenuti a più riprese, documentano la continuità dell’insediamento e della frequentazione delle terme a scopo terapeutico per tutta l’antichità. Nel medioevo Villa Abbas era frequentata dai giudici d'Arborea che risiedevano periodicamente nel castello di Monreale (Ugone II frequentava lo stabilimento termale di Sàrdara per curare la gotta). Alla fine dell'800 Filippo Birocchi realizzò un attrezzato stabilimento termale, modernissimo per quei tempi, che inglobò i resti delle antiche terme. Dello stabilimento romano sono ora distinguibile una vasca quadrata e fondamenta di vari edifici. Una planimetria delle strutture romane cancellate dalle moderne terme è collocata nell’edificio.
Funtana de is dolus
All’interno dell'abitato, di fronte alla chiesetta tardogotica di S.Anastasia (sec. XV), sta l’omonimo tempio nuragico a pozzo, forse del X sec. a.C., situato presso una sorgente di acque curative. Fu messo in luce in indagini di scavo condotte dal 1913. Il tempio a pozzo di S.Anastasìa lascia credere di appartenere all'area di primo sviluppo del culto delle acque. Lungo circa 12 m è realizzato con blocchi in basalto e costituito da una camera a pianta circolare profondamente scavata nel suolo, coperta a tholos cui si accede mediante una scalinata di 2,20 m di altezza. Una facciata decorata, su conci di calcare, fu aggiunta nel tempo alle strutture antiche di basalto del pozzo.
Il pozzo sacro era detto funtana de is dolus, fonte dei dolori, perché l'acqua minerale della vicina sorgente sacra che derivava attraverso un canaletto in muratura a fior di pavimento, era ritenuta salutare.
“Il prospetto architettonico, armoniosamente composto davanti al sancta sanctorum del pozzo, nel quale l'acqua medica nascondeva, nel velo del simbolo, la divinità guaritrice o, comunque, datrice di bene, mostrava a coronamento l'immagine d'una testa taurina stilizzata in basalto, e, sotto la cornice modanata del finimento modulato a regoli e a foglie in rilievo fra incavi, una sequenza orizzontale di blocchi, pure di basalto, con coppia di bozze, simulanti mammelle. Nel segno del toro e in quello delle mammelle si è supposta l'allegoria di una divinità femminile delle acque col suo partner maschile (il toro), quale in concezioni diffuse largamente nelle religioni dell'antico mediterraneo” (G.Lilliu)
All’esterno si trova una piccola area infossata, probabilmente dimora dell’altare per i sacrifici. Nel 1913 fu scavato anche il pozzo votivo conservato all'interno della chiesa, che dà il nome al sito. In parte in muratura e in parte in roccia, profondo cinque metri, fu trovato colmo di doni specie di ceramiche di varia forma di cui alcune elegantemente ornate con motivi simili o analoghi a quelli scolpiti sulla facciata.